Carnac - Il paesino balneare bretone circondato da campi di pietre allineate come soldati in guerra
Il Sole 24 ore, 05/09/2004
Carnac - Il paesino balneare bretone circondato da campi di pietre allineate come soldati in guerra
L'esercito dei megaliti
Una leggenda racconta che sia stato un dio celtico a trasformare in granito le legioni di Cesare venute ad attaccare i Veneti, secondo i cristiani invece nella notte di Natale sarebbero gli stessi menhir a immergersi in mare
Diego Marani
Come molte cittadine balneari francesi, Carnac porta irrisolta in sé quell'eterna frontiera fra moquette e ceramica, fra burro e olio, fra terrazza e balcone, fra ardesia e tegola che silenziosamente dilania tutta la Francia. Con i suoi alberghi moderni e i soliti negozi di souvenir marini, il paesone fiorito steso fra pinete e spiagge sarebbe insignificante come tanti altri, se non fosse per quelle migliaia di megaliti schierati nei campi alle sue spalle. É un esercito di soldati pietrificati che si ha talvolta l'impressione di veder mettersi in marcia, a seconda dell'ora del giorno fieri e impettiti oppure stanchi e assorti. Una delle innumerevoli leggende che circondano l'oscura storia degli allineamenti megalitici di Carnac racconta che fu un dio celtico a immobilizzare nel granito le legioni di Cesare venute ad attaccare i Veneti. Un'altra racconta che Saint Cornély, inseguito dai soldati pagani, non trovando nessuna via di scampo si volse e trasformò i suoi inseguitori in pietre. La carità cristiana vuole che la notte di Natale, finalmente liberati dal loro incantesimo, le migliaia di menhir scendano silenziosamente sulla spiaggia e si immergano nel l'oceano. Oggi Saint Cornely è il patrono di Carnac e il suo culto è curiosamente associato ai buoi, simbolo ricorrente nelle incisioni neolitiche della zona. Lungo la strada che va da Kerlescan, a Kermario e poi al quadrilatero del menhir gigante di Manio, sotto una luce quasi mediterranea, le file di megaliti sembrano coltivazioni. Nel miraggio delle loro ombre che accompagnano da oriente a occidente il percorso del sole, il protagonista del romanzo Fine Van Brooklin di Mika Waltari sorprende seminuda la ninfetta adolescente che gli farà perdere la testa. É forse la visione della carnalità effimera mescolata all'incombere della tomba custode di ossa millenarie che strega il personaggio di Waltari. Un'aria torbida indubbiamente circonda la spianata affollata dagli enigmatici massi, oggi recintati da reti che si dicono protettive ma che sembrano erette per trattenere la loro fuga. La tradizione vuole che nei menhir si nascondano i kerrion, malefici folletti che la notte del Sabbat si riuniscono a danzare in grandi cerchi nel bosco, dove poi non cresce più l'erba. La Bretagna religiosa e visionaria crede così fortemente nei fantasmi che qui davvero anche le pietre hanno un'anima. I calvari bretoni, monumenti sacri elevati davanti alle chiese, sembrano essere una versione cristiana dei menhir neolitici. Allo stesso modo degli affreschi, servivano a spiegare i Vangeli alla gente. Ma qui si caricano di misteri più antichi che affiorano nei miracoli paurosi, nelle dannazioni orrende di una mitologia parallela. Come la storia della bella Katell Gollett la dévérgondée, raffigurata nel calvario di Guimiliau. Donna lussuriosa e corrotta, divenne amante di Lucifero in persona. Per lui andò a rubare un'ostia consacrata e fu punita in un inferno di pietra nera, che la raffigura nuda e urlante fra i diavoli. Tutta la costa atlantica dell'Europa, da Loughorew in Irlanda a Tustrup in Danimarca a Palmela in Portogallo, è disseminata di megaliti. Il poeta medievale danese Sassone Germanico, nel suo Gesta dei re danesi ne attribuisce la costruzione ai giganti: . Furono invece uomini quelli che fra il 6000 e il 3000 a.C. si accanirono a elevare monumenti che volevano eterni, forse per smarcarsi dai loro più dinamici ma meno poetici cugini che già si sedentarizzavano e invece di spostare sassi dedicavano le loro forze all'agricoltura. In Bretagna, terra di migrazione di popolazioni provenienti dal più variegato settentrione, si accumulano i megaliti più antichi, come se si trattasse di un luogo sacro. Secondo la convenzione, i ruderi si distinguono grossolanamente in menhir, dolmen e cairn. I menhir sono pietre isolate. Associati alla geografia del luogo, alle maree e agli astri, probabilmente servivano da calendario stagionale. I dolmen sono sepolture costituite da successioni di lastre verticali ricoperte da altre orizzontali. I cairn sono tumuli di pietre a secco che ricoprivano i dolmen. Se ne trovano di giganteschi. Come il tumulo di Saint Michel, lungo 125 metri e largo 60, su cui sorge addirittura una chiesa. Continuando oltre Ménec sulla strada dipartimentale 781, si arriva al sito archeologico di Locmariacquer, dove giace spezzato in tre monconi il più grande menhir del mondo. Accanto sorge il cairn della Tavola dei Mercanti, con il suo dolmen riccamente ornato. L'ascia che spacca la pietra, le corna bovine e il bastone pastorale del capo tribù sono i tre simboli che si ripetono in mille forme diversamente stilizzate. Per scolpire la pietra l'uomo del Neolitico usava sassi spigolosi che gli archeologi tedeschi hanno denominato Dreikanters. Levigati dal vento e dalle piogge di migliaia di anni, erano fatti dei minerali più duri. Se ne trovano ancora sulle spiagge, nel greto dei fiumi o sepolti sotto il morbido loess, un terriccio fertile che spazzato via dal vento si deposita sul fondo dei crepacci. Proseguendo attraverso la pineta oltre il sito archeologico di Locmariacquer, si raggiunge la punta settentrionale dello stretto che dà accesso al golfo di Morbihan. Qui la marea arriva invisibile, senza il fragore delle onde. Ogni isola, che a seconda dell'ora è strozzata dall'acqua fino al collo o aperta in soffici petali di spiagge color vaniglia, nasconde un dolmen mezzo sepolto, un tumulo, un nido di menhir dimenticato. Perfino sul fondo del mare giacciono per sempre sommersi allineamenti megalitici, come a Er-Lannic. Il sito più famoso del golfo è l'isola di Gavrinis, al largo del porticciolo di Baden. Nel suo cairn dalle pareti scolpite, successivo di quasi duemila anni a quello di Locmariacquer, gli studiosi hanno fatto una scoperta sensazionale. La pietra di copertura del dolmen è un frammento del menhir gigante di Locmariacquer. Come la Roma dei Papi si costruì con i marmi dei Cesari, così la Gavrinis neolitica sorse con il granito del mesolitico. Fra leve, pali, scavi, zattere e lastra stessa, diecimila tonnellate di materiale sono state spostate dai precursori dei Celti in un'operazione che secondo i calcoli deve aver mobilitato cento persone per un periodo di tre anni. Con le debite proporzioni, il tumulo di Gavrinis è la basilica di San Pietro del Neolitico. Eppure gli scavi hanno rivelato che il sito sacro rimase inutilizzato per quasi 500 anni. Segno che anche i nostri rudi antenati vissero un tempo corrotto in cui nessuno andava più in chiesa.
Carnac - Il paesino balneare bretone circondato da campi di pietre allineate come soldati in guerra
L'esercito dei megaliti
Una leggenda racconta che sia stato un dio celtico a trasformare in granito le legioni di Cesare venute ad attaccare i Veneti, secondo i cristiani invece nella notte di Natale sarebbero gli stessi menhir a immergersi in mare
Diego Marani
Come molte cittadine balneari francesi, Carnac porta irrisolta in sé quell'eterna frontiera fra moquette e ceramica, fra burro e olio, fra terrazza e balcone, fra ardesia e tegola che silenziosamente dilania tutta la Francia. Con i suoi alberghi moderni e i soliti negozi di souvenir marini, il paesone fiorito steso fra pinete e spiagge sarebbe insignificante come tanti altri, se non fosse per quelle migliaia di megaliti schierati nei campi alle sue spalle. É un esercito di soldati pietrificati che si ha talvolta l'impressione di veder mettersi in marcia, a seconda dell'ora del giorno fieri e impettiti oppure stanchi e assorti. Una delle innumerevoli leggende che circondano l'oscura storia degli allineamenti megalitici di Carnac racconta che fu un dio celtico a immobilizzare nel granito le legioni di Cesare venute ad attaccare i Veneti. Un'altra racconta che Saint Cornély, inseguito dai soldati pagani, non trovando nessuna via di scampo si volse e trasformò i suoi inseguitori in pietre. La carità cristiana vuole che la notte di Natale, finalmente liberati dal loro incantesimo, le migliaia di menhir scendano silenziosamente sulla spiaggia e si immergano nel l'oceano. Oggi Saint Cornely è il patrono di Carnac e il suo culto è curiosamente associato ai buoi, simbolo ricorrente nelle incisioni neolitiche della zona. Lungo la strada che va da Kerlescan, a Kermario e poi al quadrilatero del menhir gigante di Manio, sotto una luce quasi mediterranea, le file di megaliti sembrano coltivazioni. Nel miraggio delle loro ombre che accompagnano da oriente a occidente il percorso del sole, il protagonista del romanzo Fine Van Brooklin di Mika Waltari sorprende seminuda la ninfetta adolescente che gli farà perdere la testa. É forse la visione della carnalità effimera mescolata all'incombere della tomba custode di ossa millenarie che strega il personaggio di Waltari. Un'aria torbida indubbiamente circonda la spianata affollata dagli enigmatici massi, oggi recintati da reti che si dicono protettive ma che sembrano erette per trattenere la loro fuga. La tradizione vuole che nei menhir si nascondano i kerrion, malefici folletti che la notte del Sabbat si riuniscono a danzare in grandi cerchi nel bosco, dove poi non cresce più l'erba. La Bretagna religiosa e visionaria crede così fortemente nei fantasmi che qui davvero anche le pietre hanno un'anima. I calvari bretoni, monumenti sacri elevati davanti alle chiese, sembrano essere una versione cristiana dei menhir neolitici. Allo stesso modo degli affreschi, servivano a spiegare i Vangeli alla gente. Ma qui si caricano di misteri più antichi che affiorano nei miracoli paurosi, nelle dannazioni orrende di una mitologia parallela. Come la storia della bella Katell Gollett la dévérgondée, raffigurata nel calvario di Guimiliau. Donna lussuriosa e corrotta, divenne amante di Lucifero in persona. Per lui andò a rubare un'ostia consacrata e fu punita in un inferno di pietra nera, che la raffigura nuda e urlante fra i diavoli. Tutta la costa atlantica dell'Europa, da Loughorew in Irlanda a Tustrup in Danimarca a Palmela in Portogallo, è disseminata di megaliti. Il poeta medievale danese Sassone Germanico, nel suo Gesta dei re danesi ne attribuisce la costruzione ai giganti: . Furono invece uomini quelli che fra il 6000 e il 3000 a.C. si accanirono a elevare monumenti che volevano eterni, forse per smarcarsi dai loro più dinamici ma meno poetici cugini che già si sedentarizzavano e invece di spostare sassi dedicavano le loro forze all'agricoltura. In Bretagna, terra di migrazione di popolazioni provenienti dal più variegato settentrione, si accumulano i megaliti più antichi, come se si trattasse di un luogo sacro. Secondo la convenzione, i ruderi si distinguono grossolanamente in menhir, dolmen e cairn. I menhir sono pietre isolate. Associati alla geografia del luogo, alle maree e agli astri, probabilmente servivano da calendario stagionale. I dolmen sono sepolture costituite da successioni di lastre verticali ricoperte da altre orizzontali. I cairn sono tumuli di pietre a secco che ricoprivano i dolmen. Se ne trovano di giganteschi. Come il tumulo di Saint Michel, lungo 125 metri e largo 60, su cui sorge addirittura una chiesa. Continuando oltre Ménec sulla strada dipartimentale 781, si arriva al sito archeologico di Locmariacquer, dove giace spezzato in tre monconi il più grande menhir del mondo. Accanto sorge il cairn della Tavola dei Mercanti, con il suo dolmen riccamente ornato. L'ascia che spacca la pietra, le corna bovine e il bastone pastorale del capo tribù sono i tre simboli che si ripetono in mille forme diversamente stilizzate. Per scolpire la pietra l'uomo del Neolitico usava sassi spigolosi che gli archeologi tedeschi hanno denominato Dreikanters. Levigati dal vento e dalle piogge di migliaia di anni, erano fatti dei minerali più duri. Se ne trovano ancora sulle spiagge, nel greto dei fiumi o sepolti sotto il morbido loess, un terriccio fertile che spazzato via dal vento si deposita sul fondo dei crepacci. Proseguendo attraverso la pineta oltre il sito archeologico di Locmariacquer, si raggiunge la punta settentrionale dello stretto che dà accesso al golfo di Morbihan. Qui la marea arriva invisibile, senza il fragore delle onde. Ogni isola, che a seconda dell'ora è strozzata dall'acqua fino al collo o aperta in soffici petali di spiagge color vaniglia, nasconde un dolmen mezzo sepolto, un tumulo, un nido di menhir dimenticato. Perfino sul fondo del mare giacciono per sempre sommersi allineamenti megalitici, come a Er-Lannic. Il sito più famoso del golfo è l'isola di Gavrinis, al largo del porticciolo di Baden. Nel suo cairn dalle pareti scolpite, successivo di quasi duemila anni a quello di Locmariacquer, gli studiosi hanno fatto una scoperta sensazionale. La pietra di copertura del dolmen è un frammento del menhir gigante di Locmariacquer. Come la Roma dei Papi si costruì con i marmi dei Cesari, così la Gavrinis neolitica sorse con il granito del mesolitico. Fra leve, pali, scavi, zattere e lastra stessa, diecimila tonnellate di materiale sono state spostate dai precursori dei Celti in un'operazione che secondo i calcoli deve aver mobilitato cento persone per un periodo di tre anni. Con le debite proporzioni, il tumulo di Gavrinis è la basilica di San Pietro del Neolitico. Eppure gli scavi hanno rivelato che il sito sacro rimase inutilizzato per quasi 500 anni. Segno che anche i nostri rudi antenati vissero un tempo corrotto in cui nessuno andava più in chiesa.
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