Megaliti, gli antichi misteri di pietra dell’isola di Sardegna

La Nuova Sardegna, 30 Gennaio 2006
Megaliti, gli antichi misteri di pietra dell’isola di Sardegna

Parlano e seducono le pietre, in Sardegna. Eterne e immodificabili, rozze o levigate che siano, sono loro che raccontano la civiltà più remota dell’isola. Svelano, soprattutto, il mito e la storia dell’uomo nella sua evoluzione dal Paleolitico superiore a tutto il Neolitico.
Dicono, le pietre, di un originale genius loci che ha fatto grande l’orma di Dio emersa nel cuore del vecchio Mediterraneo. La si chiami civiltà dei nuraghi o delle tombe dei giganti, oppure ancora di San Michele o di Bonu Ighinu, poco importa: importa piuttosto ribadire che «è preferibile che si parli della Sardegna come la terra della civiltà dei sardi e non della Sardegna dei punici o dei romani o degli spagnoli o di quanti altri l’hanno occupata e dominata». È da questa premessa che prende piede Marco Puddu nel suo recente libro «La Sardegna dei megaliti» (Edizioni Iris, 144 pagine, 15 euro). Medico chirurgo di professione, esperto di archeoastronomia per passione, Puddu, originario di Nuoro ma da tempo trapiantato a Thiesi, viaggia tra i monumenti funerari sardi, puntando dritto sulla simbologia che sta dietro ognuno di essi, e indaga sulle possibili relazioni con i popoli affacciati sulle sponde del Mare Nostrum.
Tutto comincia, dunque, con il culto delle pietre, quando nessun altro materiale, né metallo né legno, poteva essere accostato ai massi utilizzati dall’uomo per rendere omaggio alle dinività e celebrare i riti della morte. Così voleva la mistica ebraica e così osservarono gli ingegneri prenuragici e nuragici. Veri e propri professionisti del calcolo matematico, evidentemente, visti i monumenti che hanno lasciato ai posteri. E che nessuno si azzardi a dire (come è stato fatto in passato) - ammonisce Marco Puddu - che questi costruttori di torri sono arrivati nell’isola dalla Grecia. «Perché mai - è l’interrogativo che spiega la tesi - questi fantomatici architetti oriundi non costruirono anche nelle loro terre dei bei nuraghi come fecero da noi in Sardegna?».
Ma a parlare non sono soltanto gli ottomila nuraghi spuntati qua e là, dal Sassarese al Nuorese, dal Sarrabus alla Gallura. Ci sono le oltre tremila domus de janas, ipogeo comune all’intera area del Mediterraneo e del vicino Oriente, tombe legate al culto della luna e a uno sterminato campionario di leggende di fate e di streghe, che riportano indietro le date della preistoria. In Sardegna ci sono, poi, i pozzi sacri, necessari per venerare l’acqua, noti anche ad altre genti.
Basti pensare che in Egitto è stato ritrovato un pozzo del tutto simile a quello di Santa Cristina di Paulilatino, mentre in Bulgaria ce n’è uno identico a Funtana Coberta di Ballao. E ancora: la terra dei sardi è costellata di dolmen, tombe dei giganti e menhirs, spesso chiamati perdas longas. In tutte queste opere che ancora sfidano le intemperie del tempo c’è sempre una simbologia che li unisce tra loro in una visione unica e globale allo stesso modo.
È il megalitismo, fermento diffuso, eppure autoctono perché insito nella natura dell’uomo. Un vero e proprio movimento culturale, che investe l’isola, con tutte le sue raffigurazioni, dalla primordiale Dea Madre alle più tardive corna taurine, dai cerchi e le spirali alle coppelle e ai petroglifi.
Ogni volta, comunque, emerge inequivocabile, accanto al mondo materiale, fatto di pietre, appunto, il mondo spirituale. Quello che Marco Puddu cerca di decifrare.

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